#12 RITROVARSI… IN VIAGGIO

 

barbara_andreatta“Qualcuno scrisse che quando si sta bene, viaggiare è solo stare altrove, non più essere lontani. La verità è che viaggiando – e l’ho fatto per buona parte della mia vita di adulta – mi sono spesso sentita più lontana che altrove.”

E’ cosi che Barbara comincia a raccontarsi. Dall’Europa all’ Africa, dall’Asia all’America del Nord, e poi ancora dall’Australia di ritorno in Europa, ha toccato molti paesi e altrettante culture. Ha lavorato e vissuto gomito a gomito con gente dalle più diverse provenienze. Ne ha condiviso i sogni, ne ha preso le distanze, ci si è riavvicinata. Sempre con il desiderio di capire se stessa prima ancora di capire gli altri. E mancandosi sempre di poco, ma con l’idea di essere ad un passo dall’afferrarsi, ha continuato il suo viaggio in terre lontane.

A ben vedere, la sua ricerca si è sempre rivolta alle donne in generale. La interessano da sempre i loro micro e macro cosmi, al di là e in virtù delle differenze di cultura, tradizione, lingua e casta. E la interessa forse di più quel destino più o meno comune e più o meno assegnato che parla di teste chine, ma anche di animi che non si piegano, di patimenti e tribolazioni, ma anche di lotte silenti o dichiarate. E poi ancora di eroismi, di indipendenza di pensiero e di disobbedienza, intesa come rifiuto di percorre strade vecchie e già battute.

Il tema delle donne, che si lega al concetto di empowerment, ovvero la realizzazione del proprio potenziale, è una costante nella vita come nel lavoro di Barbara. Tutto parte dall’Africa e dall’esperienza di ricerca sulle cosiddette mutilazioni genitali condotta a ridosso della linea – non tanto sottile – che separa la libertà individuale dalle aspettative, vincoli ed opportunità legate all’identità di genere. Da lì, passa in Asia, prima in India e poi Bangladesh. Si occupa di telai che diventano strumenti di tortura per under 18 in una società, come quella indiana, che chiude un occhio e forse anche l’altro su forme estreme di lavoro minorile. Poi si concentra sulla tematiche della parità di genere e collabora con vecchie tigri della resistenza bengalese, che ai tempi dell’indipendenza del paese dal Pakistan avevano combattuto non solo per la loro terra ma anche per i diritti delle donne.

E’ durante il suo lavoro in Bangladesh che incontra Francesca, allora come oggi, direttrice di GTV- Gruppo Trentino di volontariato. Non ricorda con precisione se sia stata Francesca a proporle un accordo di collaborazione o se sia stata lei, Barbara, a caldeggiarlo, o più semplicemente sia stato il frutto di un allineamento ideologico su temi che stavano a cuore ad entrambe. Ad ogni modo, nel giro di pochi mesi, si ritrovano a lavorare assieme ad un progetto di cooperazione, il primo realizzato da GTV in Bangladesh con il partner locale STEP. A questo ne seguono altri, tutti con l’obiettivo di proteggere i diritti di bambine e bambini all’istruzione nella fase di ricostruzione post ciclone, Sidr che si abbatte sul paese alla fine del 2007.

Nel frattempo, Barbara lascia il Bangladesh per coprire la posizione di rappresentante di GTV in Vietnam. Empowerment femminile e parità di genere guadagnano le prime file nella programmazione operativa dell’organizzazione. Barbara e Francesca ne parlano a lungo, si soffermano sugli aspetti filosofici delle tematiche in questione, le sentono proprie, e in una bella comunione di pensiero ed intenti si adoperano per vederle tradotte in fatti. Ogni progetto realizzato che affronti le tematiche in questione facendole proprie in forma di obiettivi da loro l’opportunità di confrontarsi con i principi e i meccanismi che sottendono il cammino dell’empowerment individuale e di genere. Di qui l’approdo, inevitabile e disincantato, alla questione dell’efficacia degli interventi di cooperazione internazionale nei processi di sviluppo, sia individuale che comunitario. Con Francesca e il resto del direttivo di GTV è un costante chiedersi come fare a sganciare gli interventi di empowerment dai limiti che affliggono tanta parte degli interventi di cooperazione e che spesso si riassumono nel difetto di partecipazione effettiva e sentita della gente beneficiaria ai processi di sviluppo.

Questo e altri interrogativi puntellano il viaggio personale e professionale di Barbara in Vietnam. Si fa strada in lei il desiderio di investigare più a fondo i processi di empowerment individuale. Rivisita il concetto di empowerment, che diventa qui la realizzazione più alta del sé, e quindi non mero cambiamento da una condizione x ad una condizione y, ma una trasformazione che investe la totalità della vita di una persona. Lo fa partendo da sé stessa, lei che in questo viaggio si sente ancora “lontana, e non altrove”. Non tarda a rendersi conto che l’elemento fondamentale è dato dalla consapevolezza della propria condizione unita alla volontà di cambiarla, avendo cura di chiarire a priori la meta che si vuole raggiungere. E comincia quello che a Barbara piace definire come il suo processo personale di trasformazione, lo attraversa con l’aiuto di alcune figure professionali che operano a metà via tra il counselling e il life coaching.

Questo percorso a Barbara piace così tanto che decide di farne una professione. Il suo obiettivo: aiutare le donne a realizzare sé stesse attraverso un processo di auto-esplorazione e quindi di crescita personale. In tale processo, esse prendono coscienza di ciò che le muove nel profondo, e si attivano per darvi forma e concretezza attraverso la formulazione e il raggiungimento di obiettivi che sono in linea con le proprie aspettative, i propri bisogni e propri desideri. La sua speranza: vedere il coaching impiegato nei processi di empowerment promossi dalla cooperazione internazionale.

Nel frattempo, Barbara continua a viaggiare e lo fa con il suo compagno, Kim, conosciuto in Vietnam, e il loro bambino, Jasper. GTV, dice Barbara, le ha dato l’opportunità di vivere e lavorare in un paese che rimarrà sempre nella sua memoria come il luogo “della svolta”, sia personale che professionale. Ora il suo viaggiare non è più un essere lontana, ma semplicemente uno stare altrove. Perché? Perché sta bene.

Buon viaggio a tutti!

di Barbara Andreatta

CONTESTO
Nel decennio 1991-2001, nelle Province a Nord Est del Vietnam, si sono verificati oltre 20.000 casi di traffico di donne rapite o portare in Cina con l’inganno. In alcuni casi, alcune di queste, sono riuscite a tornare in patria, dove però si sono spesso dovute scontrare con un atteggiamento di ostilità da parte della loro comunità di appartenenza, che le vede più come colpevoli che come vittime. La questione del reinserimento sociale è perciò pressante e richiede un’azione rivolta alle vittime, che sia in grado di offrire loro gli strumenti e le possibilità di reinserirsi.
PROGETTO
La cooperativa di donne “Kim Thanh”, nata nel 2008 all’interno di un progetto di GTV, è stata pensata con l’intento di dare la possibilità alle vittime del traffico di donne e ai soggetti ad alto rischio di rapimento della provincia di Hai Duong di essere reintegrate nella società. L’obiettivo iniziale era quello di creare una vera e propria azienda cooperativa in grado di autosostenere la propria attività di produzione di artigianato locale, in particolare prodotti in seta, tovaglie, borse e sciarpe, tutte decorate con ricami e lavori all’uncinetto e realizzate utilizzando le materie prime presenti nella zona. Ad oggi la cooperativa di donne è attiva, si autogestisce con successo e i suoi prodotti vengono venduti nel circuito del commercio equo e solidale europeo ed americano.
Per saperne di più visita il nostro sito: www.gtvonline.org