#4 RITORNO ALLE RADICI
![]() È difficile cercare di descrivere cos’è per me il Mozambico e soprattutto cosa è stato per me ritornarci, ma tenterò di dare una testimonianza. Sin da piccola ho immaginato il Mozambico come un paese lontano e irraggiungibile dove sapevo che c’era la guerra, persone povere e svantaggiate, ma da dove arrivavano nella mia quotidianità di bambina lacustre segnali inebrianti come chiamate in portoghese, cibi esotici (soprattutto castagne di caju e gamberi in cassette di legno) e molta musica, capulane e racconti. La cosa che probabilmente mi ha impressionato di più sin da piccolina sono stati i sapori dei cibi di mamma che si discostavano da pizzoccheri e paste che mangiavo a casa dei compagni. E poi le grandi feste che con rara frequenza accadevano, dove si riunivano Mozambicani e bimbi mulatti che in questi week end ballavano al suono di zouk e kizomba. Tuttavia, c’era la coscienza che “però in Mozambico non si può andare per la guerra” e che, anche se l’Italia era la mia casa, non ero completamente italiana e che appartenevo ad un’altra realtà. E come spesso succede, i luoghi lontani e difficilmente raggiungibili, vengono spesso mitizzati e sono inebriati da un richiamo profondo. Il mio sogno di conoscere questo paese lontano si è realizzato quando avevo diciassette anni. Ed è stato amore a prima vista. Forse per le attese che avevo avuto da tempo, per il fascino che questo paese indubbiamente ha con le sue ricchezza naturali, gastronomiche e culturali, e poi il senso di appartenenza ad una famiglia lontana ma presente e ad una nazione che richiamava molto di me. Il Mozambico era anche povertà, bambini orfani nelle vie e strade distrutte. E quindi mi ha messo anche molto in discussione e ha fatto affiorare domande come: “Ma perché loro vivono così? Perché le nostre vite sono così differenti? Perché io ho avuto la fortuna di nascere in Europa e di avere molte possibilità di scelta e benefici e loro in Africa no?” Mi sembrava un’ingiustizia e un’assurdità come la sofferenza e la mancanza di possibilità fossero imposte e indipendenti dalle persone. Infatti, la maggior parte dei mozambicani era vittima di una guerra decennale. Questa presa di coscienza ha fatto sì che decidessi che chi, per caso, sta dall’altra parte, deve aiutare il prossimo perché la povertà molte volte è una condizione obbligata e imposta e non certamente voluta. Cosi sin dal primo viaggio in Mozambico e dai seguenti che si sono susseguiti con regolarità, sono scaturite scelte di vita, come il fare volontariato a Maputo lasciando la facoltà di sociologia a Milano e poi la scelta di una nuova facoltà – antropologia sociale e sviluppo – che mi potesse permettere prima di comprendere e poi di aiutare i popoli più svantaggiati. Sebbene il periodo universitario e le mie prime esperienze lavorative mi abbiano distanziato geograficamente dal Mozambico, nel 2009 ho deciso di lasciare la mia vita in Brasile e di tornare al mio sogno iniziale, ovvero lavorare in Mozambico per comprenderne le dinamiche sociali. Questo aveva per me un doppio obiettivo: da una parte avvicinarmi e vivere nel paese materno, capirne i cambiamenti e scavare nella mia identità mozambicana (una sorta di percorso interiore di back to the roots). Dall’altro lato c’era anche la volontà di dare un ritorno di pratico a questa realtà, mettendo a disposizione le mie capacità professionali a favore dello sviluppo sociale. Caia e il CAM sono stati degli ingredienti fondamentali per questa mia riscoperta personale ed esperienza professionale. Infatti, la realtà comunitaria e rurale mi ha permesso di capire alcuni fenomeni sociali, culturali e politici, dalle credenze alle tradizioni dei curandeiros, dalle abitudini sociali alla rigidità dei protocolli istituzionali. Sono crescita molto, sia come persona nella mia multi-culturalità, rafforzando la mia identità africana e permettendomi di ritrovare la parte africana della mia famiglia, sia come cooperante, migliorando le mie abilità e conoscenze tecniche e di comunicazione. Alle volte, il Mozambico può essere estremamente destabilizzante perché mette in discussione tutti i principi europei ai quali siamo abituati e sembra una realtà priva di logica, perché è la loro logica e non la nostra, e alle volte si scontrano. Ho acquisito molta malleabilità e rispetto. Durante la mia permanenza, ho trovato un Mozambico cambiato da quello che mi raccontavano e vedevo nei primi viaggi: più pulito e in trasformazione. Tuttavia, mi sono anche accorta come alcuni problemi – quali la povertà assoluta e la corruzione, la mancanza di acqua e di accesso alla salute e una governance debole (solo per citarne alcuni) – abbiano avuto un lento miglioramento. Il Mozambico è un paese in crescita e con un ottimo potenziale di sviluppo, dove ci sono all’oggi generazioni motivate che non stanno crescendo durante la guerra e sognano un paese diverso. È innegabile che gli ostacoli per uno sviluppo sociale genuino siano ancora molti, ma sono soddisfatta di avere contribuito. Ringrazio i miei antenati, il CAM e tutta la comunità di Caia per l’appoggio che mi è stato dato, ma soprattutto per quello che mi hanno permesso di capire e imparare. |
PROGETTO |
Da oltre dieci anni il CAM interviene a Caia, in Mozambico, con un progetto multisettoriale di cooperazione comunitaria, sviluppando una lunga e ricca amicizia tra il Trentino ed il Distretto di Caia. Gli interventi vengono coordinati da una equipe di espatriati che include responsabili di settore e un coordinatore generale. Da alcuni anni si sta avviando un intenso lavoro di formazione del personale locale e rafforzamento nella gestione, con l’obiettivo di “alleggerire” un po’ alla volta la presenza diretta passando tutte le attività ad una conduzione autonoma locale. |
www.trentinomozambico.org
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